Fermo pesca per la salvaguardia delle specie a rischio? Non è abbastanza

Fermo pesca per la salvaguardia delle specie a rischio? Non è abbastanza
Ho scritto questo articolo non con l’intento di fare polemica…ma per sviluppare un ragionamento.
Del resto non ne ho mai fatta di alcun tipo, in nessun situazione e soprattutto non ho mai giudicato ciò che è stato fatto prima di me, ne prendo solo atto per imparare e se possibile fare meglio.
Premesso ciò…
“Il coefficente migliore per lo sviluppo massimo delle diverse specie ittiche è, come noto, l’equilibrio tra le specie stesse, determinato dalle loro varie esigenze biologiche, equilibrio che si può ottenere lavorando le acque come si lavora la terra: con intelligenza e amore”.
Questo è quanto scriveva Floreste Malfer, importante ittiologo gardesano, agli inizi del ‘900, nel suo più importante testo, Il Benaco, reso tale attraverso l’assidua osservazione sul campo, lo studio costante e la presenza quotidiana tra i pescatori.
Questo permise osservazioni che, a distanza di oltre un secolo, possono essere d’aiuto per districarsi nella difficile comprensione della situazione attuale.
Oggi sembra che il recupero di una specie debba passare attraverso un’unica azione, ovvero il divieto di pesca, ved. per esempio il fermo pesca a protezione del Carpione e Alborella, entrambe specie a rischio.
Viene logico pensare che, se una specie non viene catturata, questa dovrebbe crescere in numero, soprattutto quando caratterizzata da grande capacità di riproduzione.
Per l’Alosa (sarda di lago) sarebbe dovuto essere così prima della introduzione del “Remàtto” nel 1675 o della “Scarolina” nel 1875, ovvero reti che hanno enormemente intensificato la loro cattura, quando prima non avveniva.
La Trota Lacustre e il Carpione avrebbero potuto riempire il Lago per lo stesso motivo, prima dell’arrivo della “Tirlindana” nel 1850…ma per entrambe, Alosa compresa, non avvenne.
Come mai?
Il fatto che una specie non prevalga su una o più altre, assestandosi su volumi di biomassa differenti, è la testimonianza che, la dove un ambiente è in grado di esprimere naturalmente se stesso, le specie autoctone dell’ambiente che lo popolano possono trovare un equilibrio e prosperarvi all’interno.
Sembrerebbe quasi un incantesimo.
Una testimonianza in tal senso ci è fornita dalla drastica riduzione della pesca sul Garda durante la prima guerra mondiale.
Molti pescatori dovettero andare al fronte e sul Garda, in quegli anni, diminuì molto il prelievo ittico.
A guerra finita, quando la vita normale potè riprendere, non si videro e non furono annotati aumenti vertiginosi delle catture di pesce sul Garda, di una specie rispetto un’altra, nonostante gli anni di minor prelievo e di “riposo per le specie”, insomma non aumentò la biomassa ittica in generale.
Questo vuol dire che non servono limiti di pesca o giorni di stop durante la riproduzione?
Certamente NO.
La considerazione da fare probabilmente è che allora vi era un buon equilibrio nell’ecosistema e quindi la riduzione dei prelievi causata dalla guerra non incise molto sull’aumento numerico delle specie ittiche, che si equlibravano a vicenda…per quello che ho impropriamente descritto sopra come “incantesimo”.
Ciò che il Malfer vide e scrisse era di fatto la dimostrazione di un ecosistema in equilibrio, dove il prelievo delle specie si compensava con una buona costante frega naturale e con l’attenta reintroduzione grazie agli stabilimenti ittiogenici, molto attivi allora in più paesi sul Garda.
Sugli stabilimenti ittiogenici ho parlato molto e molto ancora dirò, credo sia chiaro che essi sono un fattore positivo, quando in rete tra loro e quando in grado di ripopolare mantenendo equilibrio tra le specie.
C’è da dire anche che una volta le aree di frega, quelle accessibili, venivano mantenute “pulite”, il Canneto tagliato nei giusti periodi per utilizzarlo in vari modi, ved. per la costruzione delle “Arèle”, contribuendo così a mantenerlo sano e rigoglioso.
Le modifiche dell’ambiente, dei litorali, la riduzione del canneto e le specie aliene allora erano ancora lontane da venire.
Quando l’habitat e l’ambiente sono stati eccessivamente compromessi, quando la pesca con i motori marini e le maglie di nylon hanno reso tutto più efficace e soprattutto veloce, quando il valore del pesce ha cominciato a venire meno e con esso è venuta meno l’attenzione e la cultura dell’acqua, si sono aggiunti pesi sul piatto della bilancia che hanno generato disequilibrio.
Venendo ai giorni nostri…se penso al Carpione e l’Alborella, due specie dichiarate a rischio, su cui è stato attivato un fermo pesca a tutela, mi rendo conto quanto questo provvedimento abbia di fatto solo scalfito la superficie del problema, non affrontando la ricerca della soluzione.
E’ stato come voler prendere tempo…in attesa che la situazione si risolvesse da sola.
Le domande da porsi sarebbero state probabilmente da ricercare più a fondo, investendo soldi e coinvolgendo esperti ittiologi/biologi, per poi ascoltarli però, al fine di comprendere e valutare quali scompensi il Garda abbia avuto per arrivare quasi a perdere due delle sue più imporanti specie.
Perchè non si è intervenuti prima, quando il calo del pescato era evidente da anni?
Come mai non si è attivato un sistema completo di salvaguardia, oltre al fermo pesca?
Perchè è passato tutto quasi nel silenzio e nell’indifferenza?
Se penso al Carpione (inserito nella “Red-List” come specie ad alto rischio estinzione)…sono stati fatti alcuni progetti e sforzi per recuperarlo, ma vani, spesso non coordinati tra loro.
Non si può pensare di proteggerlo solo riproducendolo in cattività per poi liberarlo in un ambiente probabilmente divenuto per lui “tossico”.
Stessa cosa per l’Alborella, si è sancito un fermo pesca e stop.
Se non fosse stato per UPSdG, che ha tentato delle azioni volte al suo recupero, nulla si sarebbe mosso.
Come detto in partenza la mia non è polemica, anzi, queste domande le scrivo, ma è come le ponessi a me stesso.
Per recuperare una specie in forte calo o a rischio estinzione credo serva ben più che un fermo pesca…e il Malfer questo lo aveva ben chiaro ancora il secolo scorso.
Non basta neppure un’immissione artificiale, seppur importanti sono azioni che singolarmente non bastano.
Servono delle stime sul reale stato della biomassa ittica, oltre che un censimento aggiornato, per capire quale sia la competizione alimentare in atto e la disponibilità della stessa.
Serve una attenta verifica per valutare eventuali “stress” ambientali per poi poterli mitigare.
Immagino servano anche delle verifiche sulla disponibilità e fruibilità delle restanti zone di frega e studi aggiornati sulla riproduzione delle specie per capire se e quanto i cambiamenti climatici stanno modificando temporalmente questo istinto e per questo rivedere i periodi di tutela per la riproduzione (frega).
Ma non è finita.
In tutto questo si inserisce il fattore specie alloctone, dal Siluro, al Coregone, al Cormorano e Dikerogammarus, ecc…
Quanto queste specie stanno impattando su quelle autoctone e come si inseriscono nella competizione alimentare?
Io, lo ripeto sempre, non sono ne biologo ne ittiologo e non sono uno scienziato.
Sono semplicemente un amministratore/politico che si pone delle domande e cerca di capire come meglio procedere per il proprio territorio, che è la risorsa più importante che abbiamo.
Me alla base di tutto c’è una domanda che ormai comincio a pormi purtroppo…interessa davvero salvare il patrimonio ittico e l’habitat del Lago di Garda?
C’è ancora chi non ha capito che il Garda rappresenta la nostra storia, la nostra memoria e in futuro, se tutelato, sarà quel fattore distintivo e trainante di un’economia “circolare” sia turistica che imprenditoriale.
L’integrità dell’ambiente gardesano si rivelerà strategica…spero non lo si comprenda troppo tardi.
Il Lago di Garda merita per questo di trovare un nuovo equilibrio, merita vera attenzione, merita che vengano investiti fondi per studi ed azioni concrete, scientificamente valide ed io, nelle possibilità di azione che il mio ruolo mi offre, non mancherò di continuare a fare tutto il possibile affinchè questo avvenga.