Quale futuro per il Lavarello dopo lo stop alle immissioni?

Quale futuro per il Lavarello dopo lo stop alle immissioni?
Recentemente ho avuto modo di confrontarmi con alcuni pescatori di professione su varie questioni, tra cui il Carpione, il regolamento della pesca e le specie alloctone.
Non é certo una novità che il Lavarello Coregone sia ancora al centro di discussioni e motivo di preoccupazione in merito alla sua collocazione tra le specie alloctone, con il conseguente divieto di riproduzione e immissione.
Questa situazione stà creando non poco disagio alla pesca di professione che oggi, inutile nasconderlo, sopravvive principalmente grazie a questo pesce.
Inoltre c’è da dire che la rosa delle specie autoctone, in grado di generare reddito economico, è ormai di fatto ridotta al lumicino.
Ma torniamo al Lavarello.
Questo salmonide è stato introdotto nel Garda nel 1918, con un’immissione iniziale di 1.050.000 esemplari, a cura della Regia Stazione di Pescicoltura di Brescia; rilasciati nel golfo di Desenzano e Salò.
Successivamente, anche lo stabilimento di Peschiera del Garda contribuì a curarne la riproduzione e immissione.
Ma perchè fu introdotto nel Lago di Garda?
Per rispondere ad una chiara esigenza, rispetto cui vi era forte convergenza già agli inizi del secolo scorso, ovvero stimolare pesca e pescicoltura.
Queste erano attività che assicuravano lavoro e disponibilità alimentare per una popolazione in forte aumento.
In tutta Europa era un corso una grande evoluzione e attenzione verso la pescicoltura, considerata importantissima e strategica e anche la neonata Italia volle adeguarsi a questa tendenza.
Quindi, da fine ‘800, primi del ‘900 in poi, si cercò di riprodurre la maggior quantità di pesce possibile, a compenso delle perdite generate dal prelievo sempre più intenso, commisurato alle aumentate richieste del mercato.
In quest’ottica, nel 1918, arrivò il Lavarello, importato dai laghi Elvetici.
Il primo esemplare fu catturato 3 anni dopo, il 20 febbraio del 1921, così come riportato dal giornale “L’Avvenire della Pesca”, Milano 1922.
Un’ulteriore data da ricordare fu il 1925.
In quell’anno si ricavarono, per la prima volta, circa 250.000 uova dalla cattura e “spremitura” di questo pesce.
Uova che furono fecondate e fatte poi schiudere nell’incubatoio di Portese, dando l’avvio, in un certo qual modo, all’immissione continuativa nel Garda.
Dal 1926, la popolazione di Lavarello crebbe tanto da permettere l’inizio della pesca professionistica, seppur con volumi modesti, ovvero 2 quintali in quel primo anno.
L’anno successivo i quantitativi erano già triplicati arrivando, nel 1955, a 94,4 tonnellate.
Dieci anni dopo le tonnellate pescate furono ben 142,5.
Il Lavarello si affermava quindi come una risorsa enorme per il Lago di Garda e per i suoi pescatori.
Era chiaro che tutte le speranze riposte nell’immissione di questo pesce furono ampiamente soddisfatte.
Ma quindi come si spiega il “divieto” di riproduzione e immissione?
Come detto il Lavarello è catalogato nel Garda come specie alloctona invasiva e come tale, per le normative vigenti, non può essere né riprodotto né immesso.
Certo, lo si è fatto per anni in deroga…ma questo è un altro discorso.
La costante immissione di Lavarello ha, molto probabilmente, generato squilibri o nuovi equilibri nell’ittiofauna lacustre.
Certo, questa potrebbe essere una logica deduzione, visto quanto sopra detto ma, mancando studi scientifici specifici a tal riguardo sul Garda, non si può essere onestamente certi di questo.
Indirettamente, le risposte di diniego di ISPRA alle recenti richeste di deroga all’immissione di Regione Lombardia, secondo me, indicavano di fondo proprio questo.
Se ci fosse stata negli anni la stessa attenzione dedicata al Lavarello chissà…oggi forse avremo ancora, magari in discrete quantità, sia il Carpione che la Trota Lacustre.
Ma questa non è una critica, è solo una mia semplice considerazione.
Ora bisgona solo gurdare avanti a capire, pragmaticamente, come meglio procedere.
Il Lavarello ormai è ben acclimatato nel Garda e si riproduce da solo, è evidente.
Sarà sufficiente per la pesca professionistica e per la richiesta della ristorazione?
Calerà o meno in futuro se non riprodotto?
Si dovrà, giocoforza, stando così le cose, rivedere al ribasso la quantitià del prelievo e quindi al rialzo il suo valore di mercato?
Credo che il marchio di qualità del pescato gardesano, che ho proposto e pubblicato in due puntate su questo sito, possa essere una giusta strada da percorrere, in risposta a tutto questo.
La questione resta comunque complessa.
Mi sento di dire che il Lavarello, seppur non autoctono, dopo oltre un secolo, sia da considerare almeno parte della nostra storia.
Storicamente è stato tra i protagonisti di quell’identità gardesana che la pesca e i pescatori ci hanno consegnato.
Se verrà accolta e finanziata dalla regione Veneto, Lombardia e prov.aut di Trento la proposta ufficiale dal tavolo di lavoro interregionale “Pesca-Habitat-Ittiofauna” sullo studio della biomassa, si potrà forse chiarire definitivamente la situazione ittica attuale.
Tra l’altro queste conoscenze, oggi mancanti, serviranno probabilmente anche per dipanare la “questione Lavarello”, che merita forse chiarezza scientifica e risposte certe.
In conclusione riporto, come feci tempo fa in un altro articolo simile, una frase che scrisse Floreste Malfer, parlando appunto del Lavarello, a fine degli anni ’20, oggi incredibilmente ancora attuale: “L’avvenire dirà quale posto saprà conquistarsi questo salmonide nella famiglia ittica del Garda”.
Non credo potesse nemmeno immaginare quali diatribe e aspettative avrebbe generato un secolo dopo.

In foto: Giotto dopo una pescata in barca, con 5 Lavarelli e un bel Persico Reale.