Il “Zìn”…una parola dimenticata, una storia Arilicense.

Il “Zìn”…una parola dimenticata, una storia Arilicense.
Avete mai sentito la parola “zìn”?
Me ne parlava mio zio Bruno, arilicense doc, classe 1909, quando ero ragazzino, riferendosi al manto algale sul fondo dei canali.
Bene, sembrerà una cosa di poco conto magari, ma questa parola, che spero di ricordare correttamente in quanto sono passati davvero molti anni, racchiude in sé tanta di quella storia da riempire un libro.
Ma cos’era il “zìn”?
Bè, mio zio Bruno mi raccontava che, quando era ragazzino, vedeva i pescatori di professione con le imbarcazioni in legno, tagliare le alghe nei canali di Peschiera del Garda, principalmente nel Canale di Mezzo, tagliandole con la falce rimanendo in equilibrio sulla barca, facendosi trasportare dalla corrente verso sud, dal Ponte San Giovanni giù fino al Ponte dei Voltoni.
Dopo il taglio con il falcetto il manto algale restava come “un prato all’inglese” per intenderci, le alghe erano tagliate radenti il fondale lasciando così un prato sommerso…ecco, quello era il “zìn”.
Magari vi chiederete adesso il perché tagliassero le alghe.
Era un modo molto comodo per poter vedere meglio il pesce di passaggio e poterlo catturare grazie alle reti, così come si faceva per la pesca col “tornèl”, era un modo per fare “manutenzione” ai canali, migliorando lo scorrimento idrico, evitando anche stagnazioni di materiale tra le alghe sulla superficie.
Così come le alghe anche il canneto veniva tagliato, proprio in questi mesi freddi, si assicurava così una buona ossigenazione e ricambio dello stesso, che ricresceva sempre rigoglioso e fitto.
Erano loro, i pescatori, gli artefici di tutto questo, le vere sentinelle del Garda, erano loro ad occuparsi della manutenzione dei canneti, delle sponde e delle zone di frega e del ripopolamento ittico ed erano certamente consci che il loro rapporto con l’ambiente gardesano si riassumeva in “do ut des” e su questo ci contavano davvero.
Tale attenzione e rispetto, lo ritroviamo nella pratica della piombatura.
La piombatura si applicava alle Trote Lacustri, quando in massa raggiungevano Peschiera e il Fiume Mincio, tra dicembre e gennaio.
I pescatori in questi periodo prelevavano le trote per recuperarne le uova da fornire al Regio Stabilimento di Peschiera, affinchè venissero fecondate, fatte schiudere in sicurezza e rilasciate successivamente come ripopolamento.
In un certo senso quello che avveniva con il Lavarello, almeno fino allo scorso anno.
Ogni trota pescata, dopo la “mungitura” moriva.
Per questo motivo poteva essere venduta in virtù di una deroga al periodo di fermo pesca appunto previsto per la deposizione delle uova.
Veniva così applicata la “piombatura” della trota usata per le mungitura.
Ecco che solo le trote che presentavano il cartellino piombato, una sorta di marchio di riconoscimento con un codice numerico o alfabetico che ogni anno variava in accordo con il prefetto, potevano essere vendute e commercializzate, in quanto certificate come prelevate per la mungitura e quindi pescate per “giusta causa” e vendute legalmente in deroga al periodo di fermo pesca per la riproduzione.
Chiaramente quelle senza piombatura erano da ritenersi fuori legge, ponendo così un deciso freno al bracconaggio, salvaguardando la posa delle uova e il mantenimento della specie.
La piombatura della trota avveniva sotto gli occhi dei responsabili dello stabilimento di Peschiera, che certificavano la corretta operazione.
In questa foto, recuperata dal libro “Saggi di studi sull’acquicoltura Benacense” scritto da Dante Lugo del 1905, di proprietà del prof. Franco Prospero, potete vedere una rara immagine proprio del momento della mungitura a destra e piombatura sul tavolo a sinistra, delle trote nel Regio Stabilimento di Peschiera.
Sullo sfondo si vede anche il ponte doppio Asburgico. Questo è solo un esempio di come fosse seria la questione pesca, prelievo e ripopolamento.
I pescatori che vedeva mio zio, intenti a creare il “zìn” erano poi gli stessi che prelevavano le trote, le mungevano e le portavano allo stabilimento per riprodurle, per poi piombarle e venderle.
Erano i pescatori della “Società Benacense” di cui perlerò in seguito.
Le loro azioni erano in grado di influire positivamente sull’equilibrio del Garda, prelevando in modo intenso sicuramente, curando però altrettanto intensamente l’equilibrio ittico.
Oggi? Cosa possiamo dire a riguardo?
Ad un certo punto della storia si è gestito il Garda come fosse un grosso allevamento di pesce, concentrandosi più sul prelievo che sulla gestione e come una piscina per le vacanze…senza farne una colpa a nessuno, perchè non è certamente questo il mio intento, si capisce come, cambiando la società, l’economia e le priorità, si è persa quella strada virtuosa che poneva il Garda al centro delle decisioni e attenzioni.
A loro volta i pescatori hanno perso d’importanza e non si è più potuto raggiungere un equilibrio tra prelievo e immissione…che ancora oggi rincorriamo, ma che il Contratto di Lago e il Tavolo di Lavoro Interregionale si prefiggono di ricreare.
Se solo non si fosse perso quel senso di rispetto per il Lago probabilmente oggi le cose sarebbero diverse, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte…quindi bisogna solo rimboccarsi le maniche.