Ripopolamenti si? no? Cosa pensare?

Siamo davvero “dipendenti” dai ripopolamenti ittici?
Sono effettivamente indispensabili e quindi l’unica soluzione in grado di mantenere ancora “vivi” i nostri corsi d’acqua, fiumi o laghi che siano?
Sul Lago di Garda almeno queste domande nascondono una mancanza cronica di programmazione e visione unitaria della politica; lo scrivo senza polemica, provando dispiacere per questo.
Un esempio?
Dopo il divieto di ripopolamento delle specie catalogate non autoctone i pescatori da una parte chiedevano soluzioni alla politica la quale, invece di intraprendere una costruttiva autocritica rispetto il motivo che ha condotto alla situazione attuale, concentrava le poche risorse disponibili nel far riconoscere come autoctone o para-autoctone specie che non lo erano, per ovviare il problema immediato, lasciando però i veri nodi nel pettine.
Riporto una recente pubblicazione Svizzera dell’Ufficio Federale per l’Ambiente, UFAM-2023, legata principalmente alle trote e salmonidi nei fiumi; trascrivo ora testualmente parte delle conclusioni di questo studio:
“𝘓𝘢 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘦𝘴𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘦𝘴𝘱𝘦𝘳𝘪𝘦𝘯𝘻𝘦 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘪𝘯 𝘚𝘷𝘪𝘻𝘻𝘦𝘳𝘢 𝘦’ 𝘥𝘶𝘯𝘲𝘶𝘦 𝘪𝘯 𝘭𝘪𝘯𝘦𝘢 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘤𝘭𝘶𝘴𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘴𝘤𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘩𝘦 (𝘪𝘯 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘪𝘤𝘰𝘭𝘢𝘳𝘦 𝘙𝘢𝘥𝘪𝘯𝘨𝘦𝘳 𝘦𝘵 𝘢𝘭. 2023), 𝘤𝘩𝘦 𝘥𝘪𝘮𝘰𝘴𝘵𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘪𝘭 𝘳𝘪𝘱𝘳𝘪𝘴𝘵𝘪𝘯𝘰 𝘧𝘶𝘯𝘻𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘩𝘢𝘣𝘪𝘵𝘢𝘵 𝘦’ 𝘭’𝘶𝘯𝘪𝘤𝘢 𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰𝘳𝘢 𝘥𝘶𝘳𝘦𝘷𝘰𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘴𝘪𝘵𝘶𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘶𝘯𝘢 𝘢𝘤𝘲𝘶𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢.
𝘋𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘦𝘨𝘶𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘪𝘥𝘦𝘳𝘢𝘵𝘪 𝘪 𝘳𝘪𝘴𝘤𝘩𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘢 𝘣𝘪𝘰𝘥𝘪𝘷𝘦𝘳𝘴𝘪𝘵𝘢’, 𝘪𝘥𝘦𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘰𝘤𝘤𝘰𝘳𝘳𝘦𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘤𝘦𝘴𝘴𝘢𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘴𝘪𝘷𝘰𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘱𝘰𝘱𝘰𝘭𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰.
𝘈𝘭𝘵𝘳𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘪, 𝘭𝘢𝘥𝘥𝘰𝘷𝘦 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘱𝘳𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢𝘵𝘰 𝘦’ 𝘯𝘦𝘤𝘦𝘴𝘴𝘢𝘳𝘪𝘰 𝘷𝘦𝘳𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢𝘳𝘯𝘦 𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘮𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘱𝘦𝘳𝘵𝘪𝘯𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘶𝘯 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰𝘭𝘭𝘰 𝘴𝘰𝘭𝘪𝘥𝘰 𝘦 𝘤𝘰𝘦𝘳𝘦𝘯𝘵𝘦 (Spalinger et al. 2018)”.
La mia convinzione comunque è che se venisse portata avanti l’attività ittiogenica con un’indagine e selezione del patrimonio genetico ideale dei riproduttori, attraverso un prelievo limitato degli stessi allo stretto necessario (importante) puntando alla massima variabilità genetica, potremmo lavorare su due fronti, habitat ed incubatoi, raggiungendo veri risultati.
E’ qua che ho cominciato a farmi delle domande circa la reale consapevolezza e comprensione di talune istituzioni politiche rispetto i principali problemi che molti, moltissimi pescatori e non solo vorrebbero risolvere.
Infatti sono state fatte proposte concrete, sono state avanzate progettualità ambiziose e scientificamente valide per dare una “sterzata” alla preoccupante rotta presa dalla biodiversità gardesana e suo habitat, acqua compresa, che insieme rappresentano il BENE PUBBLICO più importante che abbiamo.
Ma i risultati fin ora sono stati davvero timidi, non certo adeguati né incisivi.
Se ci fosse stata maggiore attenzione su questioni scientificamente valide e strategiche come la rinaturazione degli habitat, il recupero dei letti di frega e delle condizioni ideali per garantire la riproduzione naturale delle specie presenti nei nostri corsi d’acqua, probabilmente oggi avremmo potuto avere già a dimora delle basi solide.
Questo percorso genererebbe ricadute tangibili e positive non solo sull’ittiofauna, che in questo riassetto complessivo degli obiettivi diventerebbe pure una questione marginale, ma anche sul mantenimento della qualità delle acque, sulla biodiversità e massa vegetale, habitat, fitodepurazione naturale, ecc…
Chi ama davvero la pesca ama il proprio territorio, questo è certo.
Chi ama il proprio territorio non può accontentarsi di scalfire la superficie dei problemi, non può e non deve pretendere che un fiume o un lago diventi una “cava di pesca”, quelle già esistono, si paga il biglietto e via.
Chi ama la pesca e la vuole praticare in ambienti naturali deve essere il primo a voler vederli tutelati e rigenerati, rinaturati dove e quando serve, prima ancora di vederli ripopolati di specie da pescare.
La pesca viene dopo, come naturale conseguenza…e verrà in maniera tanto più abbondante quanto più quel territorio ritornerà ad appropriarsi dei suoi equilibri e doti naturali. Questo sarebbe stato il concetto da sposare sin da subito e sostenere in modo istituzionale.
Ma i cambiamenti spaventano all’inizio e non hanno quasi mai un ritorno di consenso immediato, ecco perché credo che politicamente si tenda spesso, ma non sempre per fortuna, a volersi accontentare del risultato più immediato e appariscente.
Invece è imperativo andare a fondo alle questioni, affrontarle con rigore scientifico, valutando tutto lo scacchiere e non solo la prima pedina più comoda da muovere.
Serve mantenere, soprattutto adesso e nonostante tutto, un dibattito costruttivo e scientificamente valido, serve avere fiducia nelle istituzioni politiche anche quando questa tende a “traballare”.
La politica regionale ha sempre più problemi di budget e anche il carico di lavoro negli uffici preposti è spesso insostenibile ad onor del vero e questo non aiuta nessuno.
Ma la fortuna è che sul Lago di Garda esistono associazioni che hanno voglia e capacità di mettersi a disposizione, esiste la Comunità del Garda che le ha accolte e ha capito la necessità di agire uniti…ora attendiamo che la politica interregionale che amministra il Lago di Garda “batta un colpo” e decida quale futuro merita questo lago e rispettivo territorio.
In foto un raro scatto del Regio Stabilimento Ittiogenico di Peschiera del Garda ottenuto dall’allora ponte asburgico, prima della rettificazione del Fiume Mincio e della sua distruzione nel 1944.
Sono effettivamente indispensabili e quindi l’unica soluzione in grado di mantenere ancora “vivi” i nostri corsi d’acqua, fiumi o laghi che siano?
Sul Lago di Garda almeno queste domande nascondono una mancanza cronica di programmazione e visione unitaria della politica; lo scrivo senza polemica, provando dispiacere per questo.
Un esempio?
Dopo il divieto di ripopolamento delle specie catalogate non autoctone i pescatori da una parte chiedevano soluzioni alla politica la quale, invece di intraprendere una costruttiva autocritica rispetto il motivo che ha condotto alla situazione attuale, concentrava le poche risorse disponibili nel far riconoscere come autoctone o para-autoctone specie che non lo erano, per ovviare il problema immediato, lasciando però i veri nodi nel pettine.
Riporto una recente pubblicazione Svizzera dell’Ufficio Federale per l’Ambiente, UFAM-2023, legata principalmente alle trote e salmonidi nei fiumi; trascrivo ora testualmente parte delle conclusioni di questo studio:
“𝘓𝘢 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘦𝘴𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘦𝘴𝘱𝘦𝘳𝘪𝘦𝘯𝘻𝘦 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘪𝘯 𝘚𝘷𝘪𝘻𝘻𝘦𝘳𝘢 𝘦’ 𝘥𝘶𝘯𝘲𝘶𝘦 𝘪𝘯 𝘭𝘪𝘯𝘦𝘢 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘤𝘭𝘶𝘴𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘴𝘤𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘩𝘦 (𝘪𝘯 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘪𝘤𝘰𝘭𝘢𝘳𝘦 𝘙𝘢𝘥𝘪𝘯𝘨𝘦𝘳 𝘦𝘵 𝘢𝘭. 2023), 𝘤𝘩𝘦 𝘥𝘪𝘮𝘰𝘴𝘵𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘪𝘭 𝘳𝘪𝘱𝘳𝘪𝘴𝘵𝘪𝘯𝘰 𝘧𝘶𝘯𝘻𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘩𝘢𝘣𝘪𝘵𝘢𝘵 𝘦’ 𝘭’𝘶𝘯𝘪𝘤𝘢 𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰𝘳𝘢 𝘥𝘶𝘳𝘦𝘷𝘰𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘴𝘪𝘵𝘶𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘶𝘯𝘢 𝘢𝘤𝘲𝘶𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢.
𝘋𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘦𝘨𝘶𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘪𝘥𝘦𝘳𝘢𝘵𝘪 𝘪 𝘳𝘪𝘴𝘤𝘩𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘢 𝘣𝘪𝘰𝘥𝘪𝘷𝘦𝘳𝘴𝘪𝘵𝘢’, 𝘪𝘥𝘦𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘰𝘤𝘤𝘰𝘳𝘳𝘦𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘤𝘦𝘴𝘴𝘢𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘴𝘪𝘷𝘰𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘱𝘰𝘱𝘰𝘭𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰.
𝘈𝘭𝘵𝘳𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘪, 𝘭𝘢𝘥𝘥𝘰𝘷𝘦 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘱𝘳𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢𝘵𝘰 𝘦’ 𝘯𝘦𝘤𝘦𝘴𝘴𝘢𝘳𝘪𝘰 𝘷𝘦𝘳𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢𝘳𝘯𝘦 𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘮𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘭𝘢 𝘱𝘦𝘳𝘵𝘪𝘯𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘶𝘯 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰𝘭𝘭𝘰 𝘴𝘰𝘭𝘪𝘥𝘰 𝘦 𝘤𝘰𝘦𝘳𝘦𝘯𝘵𝘦 (Spalinger et al. 2018)”.
La mia convinzione comunque è che se venisse portata avanti l’attività ittiogenica con un’indagine e selezione del patrimonio genetico ideale dei riproduttori, attraverso un prelievo limitato degli stessi allo stretto necessario (importante) puntando alla massima variabilità genetica, potremmo lavorare su due fronti, habitat ed incubatoi, raggiungendo veri risultati.
E’ qua che ho cominciato a farmi delle domande circa la reale consapevolezza e comprensione di talune istituzioni politiche rispetto i principali problemi che molti, moltissimi pescatori e non solo vorrebbero risolvere.
Infatti sono state fatte proposte concrete, sono state avanzate progettualità ambiziose e scientificamente valide per dare una “sterzata” alla preoccupante rotta presa dalla biodiversità gardesana e suo habitat, acqua compresa, che insieme rappresentano il BENE PUBBLICO più importante che abbiamo.
Ma i risultati fin ora sono stati davvero timidi, non certo adeguati né incisivi.
Se ci fosse stata maggiore attenzione su questioni scientificamente valide e strategiche come la rinaturazione degli habitat, il recupero dei letti di frega e delle condizioni ideali per garantire la riproduzione naturale delle specie presenti nei nostri corsi d’acqua, probabilmente oggi avremmo potuto avere già a dimora delle basi solide.
Questo percorso genererebbe ricadute tangibili e positive non solo sull’ittiofauna, che in questo riassetto complessivo degli obiettivi diventerebbe pure una questione marginale, ma anche sul mantenimento della qualità delle acque, sulla biodiversità e massa vegetale, habitat, fitodepurazione naturale, ecc…
Chi ama davvero la pesca ama il proprio territorio, questo è certo.
Chi ama il proprio territorio non può accontentarsi di scalfire la superficie dei problemi, non può e non deve pretendere che un fiume o un lago diventi una “cava di pesca”, quelle già esistono, si paga il biglietto e via.
Chi ama la pesca e la vuole praticare in ambienti naturali deve essere il primo a voler vederli tutelati e rigenerati, rinaturati dove e quando serve, prima ancora di vederli ripopolati di specie da pescare.
La pesca viene dopo, come naturale conseguenza…e verrà in maniera tanto più abbondante quanto più quel territorio ritornerà ad appropriarsi dei suoi equilibri e doti naturali. Questo sarebbe stato il concetto da sposare sin da subito e sostenere in modo istituzionale.
Ma i cambiamenti spaventano all’inizio e non hanno quasi mai un ritorno di consenso immediato, ecco perché credo che politicamente si tenda spesso, ma non sempre per fortuna, a volersi accontentare del risultato più immediato e appariscente.
Invece è imperativo andare a fondo alle questioni, affrontarle con rigore scientifico, valutando tutto lo scacchiere e non solo la prima pedina più comoda da muovere.
Serve mantenere, soprattutto adesso e nonostante tutto, un dibattito costruttivo e scientificamente valido, serve avere fiducia nelle istituzioni politiche anche quando questa tende a “traballare”.
La politica regionale ha sempre più problemi di budget e anche il carico di lavoro negli uffici preposti è spesso insostenibile ad onor del vero e questo non aiuta nessuno.
Ma la fortuna è che sul Lago di Garda esistono associazioni che hanno voglia e capacità di mettersi a disposizione, esiste la Comunità del Garda che le ha accolte e ha capito la necessità di agire uniti…ora attendiamo che la politica interregionale che amministra il Lago di Garda “batta un colpo” e decida quale futuro merita questo lago e rispettivo territorio.
In foto un raro scatto del Regio Stabilimento Ittiogenico di Peschiera del Garda ottenuto dall’allora ponte asburgico, prima della rettificazione del Fiume Mincio e della sua distruzione nel 1944.